Riccardo è il referente del progetto MurArte dell'Associazione Volontarius ed ha collaborato alla realizzazione di BUNKER WALLS - Street Art inside the cave, un progetto di graffiti all’interno del rifugio antiaereo di via Fago a Bolzano.
Ciao, ci racconti chi sei?
Io sono Riccardo e ho un problema con i graffiti. Ho incontrato i graffiti quando ero piccoletto e frequentavo le medie e da quel momento mi sono sempre rimasti accanto. Bolzano è stato il mio parco giochi, il mio terreno di sperimentazione, soprattutto all’inizio del mio percorso. Oggi i graffiti sono diventati una parte del mio lavoro: seguo il progetto MurArte dell’Associazione Volontarius. È stato uno sviluppo naturale della mia passione.
Come sei arrivato qui nel Bunker?
Ho conosciuto Martino Bombonato, che oggi è Vicepresidente della cooperativa che gestisce il Bunker, perchè qualche hanno fa ha partecipato a 12 settembre 1944. Dialoghi tra generazioni, un progetto che ha lavorato intorno alla tematica dell’eccidio del Parco Mignone di Bolzano attraverso diversi linguaggi artistici, tra cui il graffito.
Cosa significa per te, come referente del progetto MurArte e come writer, portare l’arte in luogo storico come questo?
Questo luogo ha un forte valore storico e la Cooperativa Talìa porta qui dentro iniziative di diverso tipo che offrono la possibilità di fare memoria sul ricordo e sulla storia del bunker. Con il progetto BUNKER WALLS e attraverso il graffito riusciamo a portare una nuova narrazione. Questo luogo ci ricorda di un periodo storico preciso, ma parla oltre. È un punto sul filo che parte dalle origini dell’uomo fino ad oggi. I graffiti sono nati con l’uomo. Il bisogno di lasciare una traccia sul muro è nato nella preistoria, poi si è sviluppato e ha preso varie forme. Per me lavorare in un bunker, in una sorta di caverna, ci mette in contatto con la nostra storia, con la nostra natura.
Parliamo della tua opera. Qual è la tua ispirazione?
Ho avuto un’attrazione istintiva nei confronti della figura mitologica di Tacita. Mi ha colpito molto il fatto che il mito parla di una dea, di una figura femminile, che racconta molto delle storie delle donne di oggi, di quelle del periodo in cui è stato creato questo bunker e delle donne in generale nella storia dell’uomo. Tacita racconta alle sorelle di essere stata sedotta da Zeus, il padre degli dei. Per questo motivo viene punita da quest’ultimo che le mozza la lingua togliendole la voce per sempre. Zeus chiede a Mercurio di condurla negli Inferi e lui durante il tragitto la violenta. Ne approfitta consapevole che non potrà dire mai nulla dal momento che era stata relegata al silenzio. Tacita è diventata in seguito la dea della morte. Mi ha fatto pensare molto questo abbinamento che i greci hanno fatto tra il silenzio, o l’impossibilità di raccontarsi, e la morte. Se tu non puoi dire la verità su te stesso, sei morto, non esisti. Tante altre figure nella mitologia greca sono andate e tornate dall’Ade. La morte era vista come una cosa che si poteva contrastare attraverso la memoria, il ricordo di sé, il lasciar qualcosa, il far parlare gli altri di te. Ma se tu non puoi raccontarti e nessuno può avere memoria di quello che è la tua verità, sei morto. A quante persone ancora oggi viene negata la possibilità di parlare?
Che cos’è per te la Memoria?
È un argomento molto importante per me. Credo che la Memoria sia il mistero per cui possiamo essere vivi e coscienti. Noi passiamo costantemente da momenti di passato a momenti di futuro. Ma se non avessimo la memoria non potremmo avere coscienza neanche di quello che abbiamo appena fatto. È un ricordarsi costantemente di essere vivi. È uno degli aspetti più caratterizzanti dell’essere umano e che gli impone la responsabilità. Non può far finta di non ricordarsi ciò che ha appena fatto o qual è il suo passato. Tutto passa attraverso la memoria. Questo pensiero si ricollega ad alcune teorie del tempo per cui saremmo una sorta di scintilla che scorre su un filo di memoria. Ognuno di noi è una scintilla, una coscienza, su un essere totale che è al di fuori del tempo, un tempo compiuto. Insomma quello che noi viviamo come tempo è una parzialità di un qualcosa di più grande.