Andrea e Guillermo arrivano a Bolzano per frequentare il master di Eco Social Design dell’unibz. Durante un interno semestre lavorano con il quartiere Don Bosco, dove prende vita il progetto Rattoparole, una serie di toppe ricamate con simboli e parole legate all’identità del quartiere.
Ciao ragazzi, come nasce il progetto Rattoparole?
Andrea: Proveniamo entrambi da fuori Bolzano: io sono di Treviso, in Veneto, e Guillermo viene dal Venezuela. Quando siamo arrivati a Bolzano abbiamo subito notato la grande diversità linguistica che c’è tra le comunità, in particolare tra quella tedesca e quella italiana. Abbiamo voluto approfondire questa questione e così abbiamo intervistato e chiacchierato con le persone che incontravamo nel quartiere Don Bosco, ad esempio i signori che bevono il vino al bar di prima mattina. Abbiamo scoperto delle cose che non ci aspettavamo. Un signore ci ha detto che Bolzano gli piace molto perché non ha un suo dialetto italiano, ma che ce ne sono tanti che si intrecciano tra di loro. Stando qua si impara a riconoscere i dialetti delle persone che vivono qui, ma che provengono da altre regioni italiane. Puoi sentire il napoletano, il pugliese, il calabrese, il veneto,…
Da qui nasce il vostro interesse per le parole?
Andrea: Volevamo proprio lavorare sulla diversità linguistica. Per ampliare il nostro sguardo abbiamo coinvolto nella riflessione anche i nostri compagni di corso che provengono da diverse parti del mondo, come Brasile, Honduras, Venezuela, New York, Chicago, Spagna e Islanda. Abbiamo iniziato chiedendo come si traducono le parole nelle varie lingue e come queste si intrecciano e si assomigliano tra loro. Ci siamo chiesti poi quale fosse il rapporto tra le lingue e le comunità, in particolare nel contesto dell’integrazione.
Tra tutte le toppe che avete realizzato ce né una che vi sta più a cuore?
Guillermo: Per me è la toppa Rosengarten, anche se è stata quella più complicata da realizzare. Ci abbiamo messo tanta fatica e pazienza a farla. Tante persone ci hanno detto che la cosa più bella di Bolzano è poter fare attività all’aria aperta e nel verde. Per noi questa montagna così imponente che vedi passeggiando tra i viali è molto significativa. Volevamo farle un omaggio.
Andrea: C’è una toppa con la parola Shangaioli. Una volta venivano chiamati così gli abitanti del quartiere, i quali erano soprattutto lavoratori che vivevano tutti vicini. Per questo motivo Don Bosco era considerato un quartiere dormitorio e per certi aspetti ricordava la città di Shangai. Prima di realizzare questa toppa volevamo essere sicuri che non fosse una parola discriminatoria: abbiamo chiesto agli abitanti e abbiamo scoperto che tutte le persone la usavano in maniera auto-ironica.
Secondo voi i vestiti e le toppe sono portatori di identità e di memoria?
Guillermo: Certo! Il progetto nasce dal concetto di “eredità sostenibile”, ovvero dall’idea che i vestiti possano portare e trasmettere storie e memorie. Un capo che ha un valore aggiunto può più facilmente essere ereditato dalle generazioni future. Nel caso del progetto Rattoparole, il valore si acquisisce con l’aggiunta delle toppe identificative della comunità di Don Bosco. In più, si tende a prendersi maggiormente cura di un oggetto a cui si associa un ricordo o un aneddoto. Di conseguenza si evita di buttarlo e dunque creare rifiuto.
Penso che il cucito sia un mezzo per riscoprire un’attività di altre generazioni. Avvicinarsi al cucito significa confrontarsi con qualcosa che appartiene al passato. Credo che la toppa La Storia è condivisione sia la più bella che abbiamo creato.
Che cos’è per voi la Memoria?
Guillermo: La Memoria è qualcosa che puoi dimenticare, ma anche qualcosa che non vuoi dimenticare. Penso che alcuni ricordi siano conservati di proposito, mentre altri scegliamo di dimenticarli. Se c’è qualcosa che voglio veramente conservare nella mia Memoria, lo fotografo o faccio una registrazione e lo conservo nel mio archivio. In questo modo gli dò un valore. Dall’altra parte, più una cosa è importante più la posso ricordare.
Penso anche che la Memoria collettiva definisca la cultura di una comunità. Ciò che dà identità ad una comunità è ciò che tutti iniziano a ricordare, come ad esempio l’instaurarsi di nuove tradizioni. Certamente c’è una Memoria personale, ma credo che sia la Memoria collettiva che colleghi tutti e che tutti ricordano.
Andrea: Penso che ci siano delle differenze sostanziali tra la Memoria storica e la Memoria personale. C’è una Memoria storica e condivisa, come dice la nostra toppa, e poi c’è una Memoria personale. Ma non esiste una scala di valore per dire quanto sia importante una Memoria o un’altra. Ognuno ha una propria Memoria, la quale può anche non essere trasmessa agli altri, come ad esempio un odore o un’immagine mentale che ti riporta indietro nel tempo.
Per me la Memoria è il valore della storia personale. È differente per tutti. È bello perché su questa diversità, che può essere fisica o non fisica, si vedono le differenze delle persone e delle loro storie.
Che cos’è per voi l’Anima?
Andrea: Non ho una risposta, ho una domanda: esiste l’Anima?
Sicuramente per me l’Anima non è qualcosa collegato alla fede cristiana. Mi piace molto la cultura indonesiana perché per loro ogni cosa ha un’Anima e ognuno e ogni cosa ha il diritto di essere un pezzetto di Anima del mondo. Mi sento vicino a questa spiritualità.
Guillermo: Penso che l’Anima sia tutto. È un feeling, una sensazione che viene trasmessa. Anche in spagnolo diciamo feeling. Quando incontro una persona percepisco un feeling, ma non corrisponde esattamente alla personalità. È una cosa intangibile che uno sente senza vederla e sapere cosa sia. Sta nell’aria. Non puoi raccontarla con le parole. Mi viene in mente che quando uno si innamora può dire “Mi rubi l’anima” o in inglese “You took my breath away”.