Santiago Torresagasti ci racconta la nascita del video From Agadez to home realizzato grazie all’amicizia con Saikou Jagne.
Chi sei?
Sono nato in Argentina, ma cresciuto in Italia. Solo a 22 anni ho ricevuto la cittadinanza italiana. Per molti anni ho vissuto e osservato questo paese dalla prospettiva dello straniero. Ho sempre avuto un forte legame con la mia terra d’origine, sia dal punto di vista culturale sia da quello affettivo. I miei genitori non hanno mai abbandonato le nostre radici e mi ricordano sempre quanto sia importante non dimenticarle mai.
Dopo aver svolto diversi lavori, mi sono iscritto alla scuola di cinema e televisione di Milano e ho trovato la mia vocazione: indagare il mondo delle immagini, della loro natura, della loro bellezza. Quando ho iniziato questo percorso non l’ho più lasciato: la mia ricerca sull’immagine è costante, non mi abbandona mai e modifica continuamente la sua forma, facendo cambiare anche me. Sono una persona che si fa molto assorbire dalle cose, cerco sempre di andare in profondità rispetto agli argomenti che affronto. Ogni lavoro che porto a termine mi trasforma in maniera radicale. Da un lavoro all’altro subisco metamorfosi incredibili.
Come nasce l’idea di realizzare il video “From Agadez to home”?
L’idea nasce all’interno di “Museum as Toolbox”, un progetto europeo a cui Museion, il museo di arte moderna e contemporanea di Bolzano, ha aderito. All’iniziativa hanno partecipato molti giovani provenienti da luoghi diversi e una parte di questi ragazzi erano richiedenti asilo ospitati in una struttura dell’Associazione Volontarius. È qui che ho conosciuto Saikou, il protagonista del video. L’amicizia che è nata tra di noi ha permesso la realizzazione di “From Agadez to home”.
Chi è Saikou?
Saikou Jaigne è un ragazzo proveniente dal Gambia. Al contrario di me e altri, trasferiti da un luogo ad un altro nell’arco di una giornata, Saikou ha impiegato 4 anni per compiere questo viaggio. Saikou ha lasciato tutto ciò che aveva nel suo paese d’origine ed è arrivato in Italia senza avere nulla. Solo con la sua carne e le sue ossa ha dovuto iniziare una nuova vita. Nonostante tutto ha sempre combattuto, non si è mai lasciato abbattere. Saikou vede ogni momento della vita, ogni istante che trascorre qui, come una benedizione. È una persona che ama moltissimo la vita. Quando lo si conosce trasmette questi sentimenti in maniera talmente tangibile che non si può non rimanerne ammaliati e inteneriti.
Saikou è stato fondamentale nella realizzazione del video. Possiede una grande sensibilità e molto spirito di iniziativa. È il protagonista di “From Agadez to home” e ha raccontato la maggior parte delle storie che hanno formato questo video di 15 minuti. Si è aperto molto con me, mi ha accompagnato in luoghi che io non conoscevo, anche all’interno della città di Bolzano, facendomene vedere la bellezza. È solo grazie al suo modo di sentire e alla sua fiducia, che è stato possibile realizzare quest’opera.
Cosa vediamo nel video?
“From Agadez to home” è stato pensato per essere trasmesso all’interno di uno spazio protetto, chiuso, come per esempio un luogo espositivo o un museo. Agadez ha bisogno di tre trasmettitori diversi, tre schermi o di una parete dove l’immagine possa essere proiettata in tre parti. La storia progredisce da uno schermo all’altro, in modo tale che lo spettatore sia portato a spostarsi fisicamente, facendo un viaggio dal primo schermo al secondo e poi dal secondo al terzo.
Il video tenta di raccontare la storia di Saikou tramite la sua voce e di tradurre il suo viaggio dal deserto ai monti di Bolzano per immagini.
Nel primo schermo vediamo il suo ricordo. È l’inizio del suo viaggio, le sue esperienze in un altro continente, in una terra che non riusciamo bene a mettere a fuoco perché appartiene al passato. Le sue reminiscenze ci portano al difficile confronto con la nostra memoria.
Nel secondo schermo vediamo il suo presente. All’epoca delle riprese Saikou era in attesa di tutto: in attesa di documenti, in attesa di permessi, in attesa di una casa. L’unica cosa che poteva fare era pregare, parlare al telefono con le persone che gli volevano bene, distrarsi e far uscire la propria voce cantando.
Nel terzo schermo abbiamo cercato di mettere per immagini i desideri di Saikou, quelli che avrebbe voluto realizzare nel suo futuro ideale. Poteva essere qualsiasi cosa, ma essendo Saikou una persona estremamente pacifica ed attaccata alla vita, ciò che viene comunicato nel terzo schermo è un desiderio di una grande energia vitale, che può nascere soltanto attraverso l’unione di tante persone.
Chi ha girato i video? Da dove provengono queste immagini?
Queste suggestioni provengono dai racconti di Saikou e altri ragazzi. Mi hanno raccontato le loro storie, le loro esperienze e io ho cercato di metterle per immagini. Ho raccolto una serie di video girati con cellulari o altre camere, alcuni fatti da me e altri da ragazzi che si trovavano nei luoghi di cui Saikou o i suoi amici mi raccontavano. Per esempio, alcuni video sono stati girati in Algeria da Claudio Ferrantini, un mio amico di vecchia data. Ovviamente era necessario avere delle immagini del deserto, perché Saikou ha passato lì 3 anni del suo viaggio. Altri video sono stati fatti dando una camera ai ragazzi richiedenti asilo, che ci hanno mostrato il loro punto di vista su Bolzano, sui luoghi e le persone che frequentano. Ho recuperato tutti questi video e poi insieme li abbiamo montati.
Come hai vissuto questo progetto?
Ci sono stati dei momenti molto difficili. All’inizio c’è stata una grande frustrazione, non posso nasconderlo. Quando ho cominciato questo progetto mi trovavo all’interno di un ambiente che non conoscevo e insieme a dei ragazzi dei quali non sapevo nulla.
Ma la prima volta che è stato trasmesso il video, nello specifico durante la giornata del contemporaneo a Museion, è stata una grandissima emozione per me. Saikou era a fianco a me. Io ero quasi in lacrime a vederlo contemporaneamente lì vicino a me e nello schermo. In quel momento ho capito di aver vissuto una bellissima esperienza, ed ero riuscito a registrarla e a mostrarla ad altre persone. Solo questo è stato un premio che denaro, ori o bronzi non possono sostituire.
Che cos’è per te la Memoria?
Ho studiato tanto il tema della Memoria. Ho letto molto a riguardo.
Io sono ebreo. Tutti gli anni da quando sono bambino, durante la giornata della Memoria frequento i luoghi e i musei della Memoria in cui mia madre mi portava. Credo che siano posti molto particolari: tentano di dare un’immagine della Memoria delle persone, ma anche di tenere attivo e accesso il fuoco della Memoria all’interno di un luogo. È necessario dare uno spazio alla Memoria e il museo è lo spazio ideale in cui racchiuderla e conservarla, dandole modo di acquisire così una sua fisicità. Il museo è il luogo più idoneo perché per me è come un tempio, nel quale si pratica una religione senza dogmi e dalle molte forme. Credo che la Memoria cambi e che subisca una mutazione sulla base dello stato d’animo con il quale la viviamo. La Memoria è sempre influenzata dal presente. Per me la Memoria è un luogo che vai a visitare e che filtri attraverso lo stato d’animo presente.
Che cos’è per te l’Anima?
L’Anima è la vita. L’Anima è qualcosa che collega tutti gli esseri viventi dell’universo. Noi non siamo eterni, ad un certo punto moriamo. Siamo delle unità che lasciano il posto ad altre unità per far si che l’eternità della vita continui. La vita quindi è eterna. L’Anima è questo per me: una grande connessione tra le vite che continuerà ad esistere per l’eternità.